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Amore e desiderio per “La ragazza dello Sputnik” di Haruki Murakami

Haruki Murakami

“Ho letto sul giornale che le lesbiche hanno dalla nascita, all’interno dell’orecchio, un osso dalla forma completamente diversa da quella delle donne normali. Un osso piccolissimo, dal nome molto complicato. (…) Appena mi trovo davanti a lei, quell’ossicino dentro al mio orecchio comincia a fare uno strano tintinnio.”

A dirla in parole povere, esistono due modi distinti di amare. C’è l’amore desiderato, quello che a undici anni ti porta a scrivere il suo nome sul tuo diario con un pennarello blu, e a tempestarlo tutt’intorno di cuoricini a pennarello rosso, che rimarresti ore a contemplarlo, fantasticando di quanto quel nome sia tutto per te. Poi c’è l’amore agito, quello più adulto, il cui oggetto diventa persona in tutta la sua carnalità, è l’amore intenzionale, in cui il desiderio non rimane una fantasticheria della mente ma trasfigura in corpi che si incontrano, si sfiorano, si compenetrano.

Ci sono persone che per buona parte della loro vita desiderano l’amore senza agirlo. Il cinema ci ha guadagnato milioni, a ben pensarci. L’amore di Sumire per Muyu, che Haruki Murakami descrive ne “La ragazza dello Sputnik”, è uno di questi esempi.

Per capirlo bisogna fare un passo indietro. Sumire è una ragazza che non solo respinge l’idea di un amore intenzionale, ma respinge allo stesso modo la sua vita. Ha ventidue anni e desidera fare la scrittrice. In nome di questo desiderio ha abbandonato gli studi, non cerca un lavoro a tempo pieno e ha concordato con i suoi una quota mensile per tirare avanti, nel piccolo appartamento in cui abita, finché avrà raggiunto il successo e potrà mantenersi da sola. È troppo concentrata sul suo desiderio per coltivare impegnative relazioni sociali. In questa vita indipendente che ha scelto, Sumire dorme molto, mangia male e scrive poco. Testi sconnessi, improvvisati, che spesso finisce per bruciare. La scrittura è la risposta a un bisogno primordiale, come dormire e respirare, ma manca di intenzione. Sumire desidera diventare scrittrice, ma non sa agire questo desiderio. Si ripete ogni giorno che è la cosa più importante della sua vita, ma nulla nelle sue azioni lo lascia intendere. Se lo ripete ogni giorno, come un nome scritto in pennarello blu su un diario, contornato da cuoricini rossi, guarda il suo desiderio e tanto le basta.

Quando Sumire incontra Myu per la prima volta, a un pranzo di nozze, non si era mai posta il problema di quale genere la attraesse. L’amore e il sesso non rientravano nei suoi piani, tanto era presa dal suo desiderio. Myu è una donna più grande, una professionista affermata che ha girato il mondo, intenditrice di vini europei e musica classica. Myu la incanta con un eloquio adulto, maturo. Ha un marito con cui fa vita separata e un disperato bisogno di un’assistente. Sumire impiega poche ore appena, per traslare il suo desiderio dalla scrittura a Myu.

Su Internet, leggerete di questo libro come di una toccante storia d’amore lesbico scritta da un uomo. Vero. C’è però molto di più, una riflessione su cosa è amore e cosa è desiderio, e su cosa significa per ciascuno di noi agire la vita.

La metafora dello spazio è geniale. Sumire ribattezza Myu “la mia ragazza dello Sputnik” a seguito di un lapsus nella loro prima chiacchierata. Lo Sputnik è esemplare, per descrivere la differenza tra un desiderio e un desiderio agito. Tra chi ammira la luna al riparo del proprio scatolotto metallico, e chi scende posandovi sopra un piede. L’amore trova compimento solo quando diventa tattile.

La parola sputnik, in russo, significa “compagno di viaggio”. Sumire e Myu, per un periodo della loro vita, sono l’una per l’altra meravigliose compagne di viaggio, ma in fondo non sono altro che aggregati metallici che disegnavano ciascuna la propria orbita, e casualmente convergono di tanto in tanto. Come lo Sputnik nei confronti di un qualsiasi altro satellite.

Quando scrivi il suo nome sul diario con un pennarello blu, tempestandolo tutt’intorno di cuoricini rossi, tu credi di amare, ma stai solo fluttuando attorno alla sua orbita, rimanendo ben al sicuro nella tua. Contemplare la luna da lontano ti basta, anzi, è più di quanto tu possa sperare.

Il desiderio dell’amore si confonde con l’amore. Sumire a un certo punto dice di Myu: “Io non desidero che di essere accanto a lei, e toccarla tutto il tempo che voglio”. Quanto coraggio è necessario, per toccare il suolo della luna con le piante dei piedi? Per trasformare il desiderio in un’intenzione? Per agire il desiderio di toccare Myu, anziché bearsi di fluttuarle accanto, annaffiare le sue piante, gestire la sua corrispondenza e ascoltare insieme un quartetto di Bach?

Spesso, nel romanzo, la voce narrante si chiede se quanto sta avvenendo è reale. Lo è, nella misura in cui la trama si sviluppa in una dimensione di desiderio, anziché di azione. Ricordo, da adolescente, che una mia compagna di scuola disse, di un ragazzo che le piaceva: spero non scopra mai quello che provo. Agire significherebbe esporsi al rischio, a un possibile rifiuto, e veder così sfumare il piacere di quella beatitudine. Quando viviamo fluttuando nel desiderio, la realtà che ci circonda non è ciò che è, ma ciò che ricama la nostra mente. Ricami che danno un’illusoria felicità, perché nella mente sì, che puoi toccare quella persona tutto il tempo che vuoi.

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