In un’epoca in cui l’omosessualità era ancora considerata una devianza, quando la parola “gay” non era ancora entrata nel lessico comune e i movimenti di liberazione omosessuale italiani erano agli albori, il settimanale erotico maschile «Men» fece qualcosa di rivoluzionario: aprì uno spazio di dialogo tra una figura pubblica che non faceva mistero della sua identità e centinaia di persone che, in silenzio, cercavano risposte.
Il libro di Willy Vaira, “Il salotto di Giò Stajano. L’omosessualità in Italia negli anni Settanta raccontata attraverso le lettere inviate al settimanale Men”, edito da Manni (2021), recupera e restituisce alla memoria collettiva una rubrica dimenticata, ma fondamentale per la comprensione della storia queer italiana. Attraverso la selezione e la curatela di oltre cento lettere scritte tra il 1972 e il 1975, Vaira ci porta nel cuore di un’Italia profonda, fatta di giovani e adulti che si confidano, si interrogano, si confessano.
Giò Stajano fu un personaggio unico nel panorama culturale italiano. Nata Gioacchino Stajano Starace, nipote del gerarca fascista Achille Starace, visse una vita pubblica senza precedenti: tra gli anni ’50 e ’60 fu scrittrice, attrice, giornalista e protagonista della vita romana. Ma fu soprattutto la prima persona transgender a vivere la propria identità in modo visibile nel nostro Paese, sfidando una società fortemente repressiva e moralista.
Negli anni Settanta, la sua collaborazione con «Men» non fu solo una parentesi editoriale, ma un atto politico travestito da intrattenimento: nel suo “salotto”, Giò accoglieva i lettori con tono affettuoso, ironico, materno, diretto. Leggeva le loro angosce sul sesso, l’identità, la famiglia, il servizio militare e rispondeva con empatia, esperienza e coraggio. Quelle risposte non erano sempre perfette, certo: figlie della loro epoca, risentono talvolta di stereotipi e paternalismi. Ma erano vere, e soprattutto erano presenti. E per chi scriveva da un paesino del Sud o da una caserma del Nord, questo bastava a cambiare tutto.
Il merito più grande del libro di Willy Vaira è quello di restituire umanità e complessità a queste voci dimenticate. Non si tratta solo di un documento storico, ma di un viaggio nell’intimità di centinaia di persone che scrivono perché non hanno nessun altro a cui parlare. Alcune lettere sono piene di dolore, altre di tenerezza, molte di paura. C’è chi teme di essere malato, chi si sente “anormale”, chi racconta il proprio primo amore come una condanna. Giò legge tutto e risponde.
Vaira non si limita a raccogliere queste voci, ma le organizza tematicamente, le commenta, le inserisce in un contesto culturale e politico più ampio, aiutando il lettore a capire quanto fossero rivoluzionarie, allora, parole che oggi potrebbero sembrarci semplici.
In un periodo in cui l’omosessualità era ancora considerata un reato in molti paesi occidentali (l’Italia l’aveva depenalizzata già dal Codice Rocco, ma nei fatti la repressione sociale era fortissima), parlare apertamente di desiderio omosessuale su una rivista era un gesto quasi impensabile. Le prime organizzazioni gay italiane – il FUORI!, i collettivi autonomi – muovevano solo allora i primi passi. La cultura di massa ignorava o derideva l’omosessualità. Eppure, sotto traccia, cresceva una comunità silenziosa. Le lettere di «Men» ne sono la testimonianza.
Il salotto di Giò Stajano è una raccolta di memorie intime e anonime, ma anche un tassello indispensabile nella costruzione della una storia LGBTQIA+ italiana. È un omaggio a chi ha osato scrivere, chiedere, desiderare. Ed è, soprattutto, un ringraziamento implicito a Giò Stajano – icona dimenticata, spesso fraintesa – che ha saputo farsi voce e volto di un’Italia invisibile.