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Progetto Gender Queer: intervista a Nathan Bonnì

Nathan Bonnì è dal 2010 presidente del Circolo Culturale Harvey Milk di Milano, ma il suo percorso di attivismo è iniziato circa dieci anni prima: i suoi studi e le sue battaglie hanno per oggetto principale il binarismo (o meglio, l’antibinarismo) di genere, e lo hanno portato nel 2010 ad aprire il blog Progetto Gender Queer. Abbiamo chiesto a Nathan di spiegarci personalmente il significato di questi termini, e rimandiamo alla lettura del blog per ulteriori approfondimenti.

Cosa ti ha spinto ad aprire il blog? È stata una decisione ragionata a priori, oppure il frutto di un impulso che si è poi sedimentato nel tempo?
Il blog è stato aperto il 5 agosto del 2010. Già da anni mi occupavo di antibinarismo di genere, sessualità al di fuori degli stereotipi, stili di vita alternativi, tramite il mio vecchio sito personale e tramite il forum Hair Rock Cafè, sesso, capelli e rock’n’roll.

Dopo circa un anno di profonda ricerca interiore sulla mia stessa identità di genere, durante un’estate di ferie, ho deciso di aprire il blog. Avevo pensato di chiuderlo quando, poche settimane dopo, era arrivata la presidenza dell’associazione Milk Milano: tuttavia i temi trattati nel blog erano di carattere personale e concentrati su alcune tematiche particolari, e quindi ho ritenuto di tenere separati i due progetti.

Anche le “trasferte” che faccio come autore del blog sono diverse da quelle che faccio come Presidente dell’Associazione, sia nelle tematiche che nell’approccio, visto che nel secondo caso rappresento la visione dell’associazione tutta e non quella di me come autore e libero pensatore.
La prima parola che caratterizza il nome del tuo blog è “gender”. Come ti rapporti con questa parola, che posizione occupa nella tua identità personale e nel tuo attivismo?
Il tema del genere pervade il blog tramite due accezioni: quella dell’identità di genere, mio personale argomento di autonalisi e introspezione, ma anche di confronto; quella dei ruoli e stereotipi di genere, che prevede più che altro un’analisi socio-antropologica, un confronto tra tempi, luoghi e subculture.

La seconda parola è “queer”, un termine spesso non compreso nell’acronimo LGBT*. Questa non-uniformità linguistica è a tuo parere riflesso di una separazione tra le varie lettere che compongono l’acronimo? (penso anche alla tua vignetta LG vs BTQ, disegnata per il secondo volume della rivista Il Simposio)
Genderqueer è una parola composta, la cui definizione è spiegata sul blog, e rappresenta coloro che si collocano al di fuori del binarismo uomo/donna. Non allude a un’adesione alla teoria queer, che spesso è anche trattata con approccio critico negli articoli, e verso la quale ho maturato idee diverse nel tempo.

Sicuramente le persone antibinarie, come i queer, e molti transgender e bisessuali, sono visti di cattivo occhio da chi è portatore di istanze “più binarie”: gli uomini e le donne omosessuali e anche qualche transessuale portatore o portatrice di un percorso binario di netto passaggio da un sesso all’altro (quelli che noi transgender chiamiamo i “nati nel corpo sbagliato”, che non mettono in discussione il binarismo sociale).

Nella tua autopresentazione illustri in modo approfondito la tua posizione nei confronti del binarismo. Puoi riassumere il concetto di “binario” e “antibinario” a un ipotetico lettore totalmente digiun* di questi concetti?
Il binarismo è un approccio “manicheista” che osserva il mondo definendolo per estremi. Approssima in modo sommario tutte le sfumature, dicendo che il bianco e il nero (o, se vogliamo, il rosa e il celeste) rappresentano una sintesi più che valida, semplicemente perché chi propone questa visione si sente personalmente vicino a uno di questi antipodi (omo/etero, uomo/donna, ruolo maschile/ruolo femminile), e di conseguenza impone questa stessa visione agli altri.

L’antibinarismo è una visione che rifiuta questa semplificazione, ponendo l’accento sul fatto che il genere umano presenta infinite sfumature di identità di genere, di espressione di genere (estetica o mentale), di orientamento sessuale, di predisposizione a ruoli sessuali, sociali, affettivi.

Come si coniuga il tuo impegno sul blog con il tuo attivismo “offline” sul territorio? Le percepisci come due anime distinte o due facce di una stessa medaglia?
I gruppi Facebook che gestisco, il mio stesso account Facebook, le varie pagine e il blog, sono prolungamenti “nazionali” dell’attivismo che faccio presso l’associazione Circolo Culturale TGBL Harvey Milk Milano, di cui sono presidente, e delle trasferte come autore del blog che faccio nella provincia del Nord Italia (solo su richiesta). Uso l’acronimo TGBL, anziché LGBT, perché la nostra associazione ha votato all’unanimità la sua inversione, al fine di valorizzare l’attenzione che ha verso le persone transgender e bisessuali.

L’associazione, oltre a fare cultura sulle tematiche omosessuali, bisessuali e transgender, offre servizi a persone TGBL e friendly (un gruppo di autoaiuto a tema relazioni affettive, un corso di teatro, meditazione, sportello psicologico di ascolto e molto altro), ed è l’unica realtà di volontari formati, in Lombardia, che offre un gruppo di autoaiuto e uno sportello sull’identità di genere, dialoga con realtà confinanti e non (laici, liberali, atei, appartenenti a spiritualità alternative al cattolicesimo, radicali, sinistre) per supportare le istanze TGLB e la laicità delle istituzioni.

Solo Internet riesce a raggiungere interlocutori sparsi per il territorio italiano (che spesso sono diventati relatori Milk tramite un primo contatto informatico), e , contemporaneamente, aiutare persone sole che non hanno la possibilità di frequentare associazioni inclusive e trasversali, miste (ovvero non frequentate esclusivamente da persone TBGL), e dove nessuno ti chiede “cosa” sei.

Ringraziamo Nathan per la chiacchierata e invitiamo tutt* voi a seguire il blog Progetto GenderQueer.

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