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Scomparso il filosofo Braibanti, perseguitato per la sua omosessualità 50 anni fa

Lo scorso 6 aprile, a 92 anni, è scomparso Aldo Braibanti, intellettuale a tutto tondo, filosofo, poeta e partigiano occupatosi anche d’arte, cinema, politica e teatro; pure collaboratore RAI ed esperto mirmologo.
Aldo Braibanti era nato a Fiorenzuola d’Arda (Pc) nel 1922, è morto a 91 anni per arresto cardiaco a Castell’Arquato, paese in cui nel 1947 aveva fondato un laboratorio artistico comunitario nel torrione Farnese.

Era un dirigente di primo piano del Pci, ma presto abbandonò la politica attiva, radunando intorno a sé tra Roma a Castell’Arquato intellettuali e artisti, da Sylvano Bussotti all’allora giovanissimo Marco Bellocchio, con cui lavorò alla fondazione dei «Quaderni Piacentini», la rivista di punta nella cultura del ’68. Ma più che per la sua originale produzione letteraria e teatrale, il nome di Braibanti divenne celebre per essere stato trascinato in uno dei processi più seguiti e dibattuti nell’Italia di fine anni sessanta.
Qualche anno prima, il suo giovane amico il 24enne Giovanni Sanfratello era andato a vivere con lui a Roma, abbandonando totalmente la famiglia e l’ambiente tradizionalista e cattolico in cui era cresciuto.
Adesso sarebbero stati una delle tante coppie gay conviventi, ma erano gli anni in cui l’essere apertamente gay suonava scandaloso, talvolta intollerabile e la relazione aperta e visibile tra due uomini scatenò un’ondata di bigotto risentimento, alimentato dal padre del Sanfratello che denunciò Braibanti.
Il capo d’imputazione – primo e unico caso in Italia – era «PLAGIO», reato desueto risalente al codice Rocco, concettualmente poco chiaro, non presente nei codici legislativi di altri paesi, e concretamente mai diventato effettivo capo d’accusa nella storia giurisprudenziale italiana, il plagio per Braibanti divenne anche pretesto per inserire forzatamente tra gli elementi di condanna, morali e non di certo giudiziari, l’omosessualità.
Nel ’67 Braibanti venne arrestato, e il 14 luglio 1968 arrivò la sentenza: nove anni di carcere per un’improbabile imposizione delle proprie idee e personalità sul giovane amico, ridotti a sette per i meriti partigiani, e a due un anno dopo, in Corte d’Appello.
Il padre di Sanfratello costrinse il figlio alla detenzione in un ospedale psichiatrico, dove fu sottoposto ad una quarantina di trattamenti con elettroshock, allo scopo di estirpare in lui ogni forma di propensione all’omosessualità.
Giovanni Sanfratello aveva tentato in ogni modo, durante i processi, di scagionare l’amico, ma ovviamente non era stato preso in considerazione. Era un «plagiato», dunque non credibile. A poco servì la mobilitazione di intellettuali come Moravia, Eco, Pasolini e di parte della sinistra, radicali e Marco Pannella in testa.
Il reato di plagio,inteso come la riduzione in proprio potere «e in totale stato di soggezione» di un’altra persona, fu poi cancellato nel 1981 dalla Corte Costituzionale senza però che Braibanti ottenesse alcun risarcimento: per l’immaginario dei benpensanti era rimasto il «mostro» o il «diabolico seduttore di spiriti» come riportato nelle motivazioni dei giudici; o anche il “meschino genietto del male», come gridato teatralmente dall’avvocato di parte civile prima della sentenza.
Tutto questo accadeva alla fine degli anni sessanta, sul crinale di una profonda trasformazione dei costumi, che avrebbe segnato la fine di modelli sessuali stereotipati, improntati alla costrizione ed a violente identità di genere.
La vicenda segnò definitivamente la vita di Braibanti, per la violenza dell’accanimento mediatico e per la condanna morale da cui fu investito. Uscito molto provato dalla prigione, e calato l’oblio dell’opinione pubblica, Brabanti continuò a lavorare al progetto teatrale Virulentia, per certi versi innovatore del linguaggio in quell’ambito tanto quanto le arrembanti rappresentazioni del Living Theatre; scriverà la sceneggiatura del film Blu Cobalto che ricevette un premio al Festival di Venezia nel 1985 e quando la sua situazione economica negli anni novanta si fece critica fu costituito da Franco Grillini e altri intellettuali un “Comitato Pro Braibanti” per concedergli un vitalizio grazie alla legge Bacchelli sbloccata dal governo Prodi nel 2008.
Arcigay Genova l’APPRODO ricorda con rispetto e onora la figura di questo intellettuale vittima esemplare di un’Italia feroce e bigotta, colpevole solo di uno stile di vita non conformista e libero.
Diciamo quindi addio ad Aldo perché è grazie anche a lui se gli omosessuali italiani, hanno iniziato a lottare per i loro diritti.
Esattamente dieci anni fa, la nostra associazione inserì la requisitoria delirante dell’avvocato di parte civile nella seconda e terza edizione del suo spettacolo “Omofobia Omofollia”, presentate rispettivamente al teatro Hop Altrove il 4 dicembre 2004 e al Virgo discoClub nel giugno dell’anno dopo.
Il testo della requisitoria era riportato nel libro di Gabriele Ferluga Il caso Braibanti, presentato sempre nel 2004 alla Festa Nazionale dell’Unità con l’autore e Gigi Malaroda dal nostro comitato.
È possibile vedere scene dello spettacolo qui.

Santo Balastro

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