fbpx

Il Giorno della Memoria come rifondazione di valori per impossessarsi del futuro

Quando abbiamo iniziato ad organizzare la mostra e gli eventi ad essa collegati, abbiamo chiesto a Don Andrea Gallo un colloquio, perché volevamo che fosse qui, con noi, ad aprire i lavori. Ci rispose che, a Dio piacendo, sarebbe stato al nostro fianco volentieri, perché aveva toccato con mano gli orrori del fascismo e avrebbe continuato a credere, fino all’ultimo istante della sua vita, nei valori per cui era stato partigiano.

Ci disse che anche noi, proprio perché discriminati, dovevamo sentirci partigiani: con questo voleva dire che dovevamo andare in direzione ostinata e contraria, senza mai rinunciare a una nostra visione del miglioramento sociale, che ha a che fare con il benessere di tutti e non solo con il nostro.

Non dovevamo rassegnarci all’omologazione ad un sistema che non mette al suo centro la persona umana e le sue infinite, meravigliose differenze, ma riconoscere il nostro ruolo nella storia, valorizzare e mettere in relazione differenze che ancora oggi non sono del tutto consapevoli di abitare la stessa casa.

La scelta di ricordare tutte le deportazioni, in particolare quelle meno frequentate dagli storici come la nostra, aderisce perfettamente a questo sentire il Giorno della Memoria non come una celebrazione ripetitiva che vada facendosi sempre più innocua con il passare del tempo, ma segno distintivo e profondo dell’identità europea, se alla base di questa identità riconosciamo un sistema di valori che desidera rendere compiuta la democrazia e non una mera realtà economica.

Non per niente alle pulsioni anti Europa si accompagnano sovente tentazioni negazioniste e insofferenza verso un periodo storico che ci interroga su questioni fondamentali oggi e continuerà a farlo in futuro.

Il Giorno della Memoria deve essere sempre una rifondazione di valori.
Ciò si può fare solo se vengono eliminati silenzi e omissioni e si permette alla memoria di impossessarsi del suo vero oggetto, il futuro. Ci si deve interrogare su come viviamo oggi, se siamo degni di trattare quell’eredità come un progetto di miglioramento dell’esistenza umana o se ancora siamo complici di ciò che accadde allora.

Ricordiamo quanto l’anno scorso l’anniversario del 16 ottobre, ricorrenza della deportazione degli ebrei romani dal Ghetto, sia stata problematica e più densa di significato in seguito alla morte di Priebke, tanto da aver richiesto l’approvazione di una legge contro il negazionismo.
La memoria deve educare alla partecipazione, alla responsabilità, combattere con ogni mezzo l’indifferenza e ignoranza: è lì che si annida e prospera quella banalità del male di cui parlava Hanna Arendt a proposito di Eichmann.

Avere scarsa consapevolezza del nostro stare comune nella storia, essere persone senza qualità, desiderose solo di compiacere, di avere successo facilmente, di omologarsi alle norme vigenti senza alcun spirito critico è il miglior nutrimento per la malapianta del razzismo che continua a prosperare intorno a noi.

Tutti i gruppi perseguitati dal nazifascismo, noi e i disabili, i Rom e i Sinti, gli Ebrei e gli oppositori politici, sono ancora nel mirino di spinte scopertamente reazionarie, in Europa come nel resto del mondo.
Tuttavia il pericolo più grande che corre la società in cui viviamo è banalizzare il bene, trasformarlo in un esercizio retorico credendo che basti una giornata all’anno per lavarsi la coscienza.
Il bene autentico non può mai essere banale, è difficile, impegnativo e dà sempre fastidio a qualcuno.
Don Gallo lo sapeva molto bene e noi ci impegniamo a non dimenticare la sua lezione.

Ostilia Mulas
Inaugurazione della mostra Dimenticare a Memoria
25 gennaio 2014

× Scrivici qui