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Bullismo nelle scuole liguri: A che punto siamo?

In occasione della Giornata Internazionale contro l’omofobia e la transfobia il 17 maggio 2012 si terrà il convegno Bullismo nelle scuole liguri: A che punto siamo? nella sala Celivo dello Star Hotel President di piazza Borgo Pila alle ore 20:30.

Intervengono:

Donatella Siringo, referente AGEDO per Genova
Dalla parte dei figli: Il bullismo omofobico e l’esperienza di AGEDO

Sergio Rossetti, Assessore regionale scuola e formazione
Bullismo omofobico nelle scuole liguri: Monitoraggio e buone pratiche

Matteo Viviano, presidente CO.GE.DE.
Scuola o caserma?

Ostilia Mulas, Presidente Arcigay Genova l’Approdo
Bullismi e identità in pericolo: chi ci restituirà quegli anni?

Bullismo nelle scuole liguri Intervento di Ostilia Mulas
Bullismo e identità in pericolo: chi ci restituirà quegli anni?

Il titolo che abbiamo voluto dare al dibattito non è casuale: ci siamo chiesti più volte e ci siamo sentiti chiedere notizie sullo stato delle cose all’interno degli istituti scolastici senza poter rispondere con dati certi, in quanto non sono ancora stati fatti sondaggi né somministrati questionari che possano fornirci le informazioni per poter rispondere con competenza.
Possiamo solo dedurre quale possa essere la situazione da racconti di genitori e studenti e da esperienze che ci arrivano casualmente, come utilizzare i mezzi pubblici all’ora dell’uscita dalle scuole e ascoltare i linguaggi adottati dagli adolescenti all’interno del gruppo dei pari.
Gli adolescenti maschi, osservazione mia personale, usano le parole frocio, finocchio, ricchione con una frequenza allarmante, ma del tutto indifferente alla concreta esistenza di persone omosessuali che potrebbero anche essere lì presenti. L’esistenza in carne, ossa e sentimenti di gay e lesbiche è loro indifferente. L’uso dei termini insultanti ha lo scopo di rafforzare la loro appartenenza di genere e di difendersi da ipotetici sospetti di scarsa virilità, non necessariamente solo sul piano sessuale, ma su tutti i piani del vivere: in ogni caso il maschio adolescente deve dimostrarsi forte e mettersi al riparo dagli altri maschi, dal loro giudizio.
Sandro Bellassai nel suo ultimo libro che ha chiamato “Storia della virilità. Politica e immaginario maschile nell’Italia contemporanea” ha spiegato molto chiaramente come l’ansia della svirilizzazione nutrita dagli uomini da almeno un secolo e mezzo, ansia che deriva dagli epocali cambiamenti in atto, sociali, politici e antropologici che ci stanno traghettando da una civiltà a un’altra, hanno prodotto per reazione un rilancio della virilità che è divenuta mito. Il mito ha prodotto una mistica della virilità allo stesso tempo tragica e ridicola: basta pensare all’importanza del virilismo sotto il fascismo o a quella più recente acquisita nel periodo del berlusconismo per comprendere come l’omofobia sia diventata un elemento costitutivo della mascolinità contemporanea tanto quanto la misoginia.
Possiamo certamente affermare che misoginia e miti virilistici vanno a formare quel fenomeno che va sotto il nome di eterosessismo, termine molto più preciso di omofobia sebbene meno conosciuto e d’uso non comune. L’eterosessimo è una forma ideologica che impregna tutta la nostra società e quindi a maggior ragione il principale agente educativo, la scuola, di ogni ordine e grado. L’eterosessismo appreso fin da piccoli attraverso mille canali, in famiglia e a scuola, da media di ogni tipo e dalla pubblicità, ci convince che solo l’eterosessualità ha ragione d’essere mentre altre opportunità non esistono in quanto tali, ma solo come devianze.
L’eterosessualità è la retta via da percorere, la strada naturale, il progetto originale e divino. Tutto il resto va punito, represso o magari curato.
Su questa ideologia si basano le conclusioni dell’Agesci, l’associazione degli scout cattolici che recentemente ha reso pubblici gli atti di un convegno sull’omosessualità da loro promosso.
Le conclusioni del convegno non sono tra le più felici, ciò che si propone è un don’t ask don’t tell nostrano: ai giovani scout omosessuali viene sconsigliato il coming out, meglio rivolgersi allo psicanalista, consiglio che introduce immediatamente il concetto che l’omosessualità sia qualcosa da curare, una cosa inaccettabile oggi dal punto di vista scientifico.
Inoltre i capi scout non possono essere omosessuali, perché ciò costituirebbe un problema di cattivo esempio.
Cito testualmente da padre Francesco Compagnoni, docente di teologia morale: “il capo è un modello per i suoi ragazzi e sappiamo che gran parte degli effetti educativi dipende dall’esemplarità anche inconscia proveniente dall’adulto”.
Mi sembra racappriciante che si possa pretendere di esercitare un controllo non del solo comportamento visibile, ma persino sull’inconscio dei malcapitati educatori scout. Le linee guida prodotte dal convegno sono altamente diseducative e discriminatorie, solo un invito ipocrità al silenzio e all’omertà, a tal punto che il sindaco di un comune sardo, Jerzu, ha deciso che non concederà spazi pubblici agli scout. Peccato si tratti di un caso isolato, ritengo che le istituzioni, a tutti i livelli, dovrebbero prendere posizione con chiarezza su questo punto, le organizzazioni scout hanno da decenni un campo d’azione molto ampio in Italia e non possiamo continuare ad affidare loro ragazzi e ragazze in una fase così delicata della formazione dell’identità se basano le loro linee educativi su presupposti omofobi.
All’opposto dell’Agesci sta la preziosa azione del Ministro Profumo che ha invitato tutti i presidi italiani a celebrare la Giornata Internazionale contro l’omofobia nelle scuole di ogni ordine e grado, affermando, e cito le parole contenute nella circolare ministeriale, che:

La scuola si cimenta ogni giorno con la costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le diversità di ciascuno. È, infatti, ad un tempo, la prima comunità formativa dei futuri cittadini e un luogo importantissimo per la crescita e la costruzione dell’identità di ciascuna persona. Così, le scuole favoriscono la costruzione dell’identità sociale e personale da parte dei bambini e dei ragazzi, il che comporta anche la scoperta del proprio orientamento sessuale. Il loro ruolo nell’accompagnare e sostenere queste fasi non sempre facili della crescita risulta decisivo, anche grazie alla capacità di interagire positivamente con le famiglie.

Sono parole che attendevamo da tanto e, se le parole sono pietre, queste potranno servire a costruire una casa comune in cui tutti e tutte potremo sviluppare la nostra capacità di accettare l’altro e avvalerci delle opportunità che le differenze ci offrono per vivere in modi molto più liberi e creativi.
Soprattutto potremo sviluppare identità fondate su terreni più stabili, identità che saranno meno fragili e aggressive di quelle che ci ritroviamo.
Il titolo del mio intervento parla infatti di identità in pericolo e si conclude con una misteriosa domanda: chi ci restituirà quegli anni? Ma perché le identità dovrebbero essere in pericolo e di quali identità si sta parlando e di quali anni?
IL tema delle identità è molto delicato ma imprescindibile se vogliamo affrontare il bullismo concretamente.
L’identità, è bene chiarirlo subito, è il primo dei diritti.
Il diritto ad essere se stessi, sviluppando una personalità bene integrata e funzionale, il diritto a vivere la propria identità in piena dignità e uguaglianza è, si può dire, la matrice di ogni altro diritto.
Il diritto all’identità non può prescindere dalla tutela dei suoi elementi costitutivi, tra i quali l’orientamento sessuale gioca un ruolo importante imprimendo una direzione alle preferenze, ai desideri e ai progetti affettivi delle persone.
Quando parlo di identità in pericolo parlo per tutte le identità possibili.
Non sono in pericolo solo le identità delle vittime del bullismo, se vogliamo riportare tutto il discorso al nostro contesto di base, sono in pericolo tutte le identità in quanto le stesse non si formano indipendentemente le une dalle altre ma insieme, in un continuo dialogo o conflitto, con frequenti restauri quali quelli di cui ho parlato riferendomi al linguaggio omofobo che i ragazzi utilizzano non solo per confermare la personale mascolinità ma anche, purtroppo, per rafforzare il genere maschile a spese del genere femminile.
Anche le identità delle ragazze necessitano di continui restauri e puntelli, in contesti fortemente misogini ed eterosessisti è davvero dura e non mi riferisco alle sole adolescenti lesbiche.
Anche le eterosessuali soffrono di carenze identitarie forti, in quanto la loro appartenenza di genere viene limitata all’aspetto superficiale ma osteggiata quando acquista valori rilevanti e di solidarietà con il proprio genere su temi sociali e culturali. È chiaro che nel conflitto tra i generi è l’orientamento sessuale ad andarci di mezzo, in quanto strumento di controllo dei corpi, soprattutto dei corpi femminili, attraverso l’imposizione dell’eterosessualità come obbligatoria.
Le ragazze che manifestano posizioni femministe non sono viste meglio delle lesbiche, anzi spesso viene loro manifestato il sospetto di omosessualità, di appartenere all’altra sponda.
Questo corto circuito tra identità si produce fortemente nelle scuole fin dalle primarie perchè sterotipi e pregiudizi sui generi, su ciò che dovrebbero essere, sui ruoli di rispettiva competenza, sono ancora diffusi tra gli adulti e tra gli insegnanti stessi che li confermano o assistono all’esplicitarsi di dinamiche sessiste e omofobe senza intervenire del tutto o intervenendo con modalità sbagliate o poco efficaci.
Il nostro sistema scolastico non prevede un insegnamento fondamentale, l’unico che può mettere al sicuro le identità: una sana e continuativa educazione alla sessualità e all’affettività che insegni, a partire dalle primarie, inclusione e rispetto delle differenze, che promuova valori quali parità e uguaglianza tra i generi e sappia mettere in discussione gli stereotipi e i pregiudizi su ruoli di genere e orientamenti sessuali.
Per attuare questo programma sono necessari anche corsi di formazione per gli adulti. Tutti abbiamo bisogno di essere aiutati ad affrontare argomenti sensibili che vanno a toccare la sfera più intima delle vita e non c’è nulla da vergognarsi.
Siamo arrivati a un punto della storia di questo Paese in cui bisogna gettare il cuore al di là dell’ostacolo e cambiare radicalmente impostazione.
Il Ministro Profumo ha dato una indicazione importante, approfittiamone, la nostra scuola ha bisogno di coerenza con i valori costituzionali e di laicità e non può più permettersi di ignorare o di censurare uno dei canali attraverso il quale il fenomeno del bullismo si inserisce nell’ambiente scolastico.
Gli orientamenti sessuali devono entrare nel discorso educativo per ciò che sono, elementi costitutivi dell’identità e varianti naturali del comportamento umano. Non è più tollerabile che uno degli orientamenti possibili venga utilizzato come strumento di repressione, di controllo e discriminazione.
Io ritengo questo una lesione alla dignità delle persone eterosessuali e alla loro sfera più intima. I desideri e i sentimenti delle persone non dovrebbero essere strumentalizzati a tali fini e sarebbe un bene se sempre più persone eterosessuali se ne rendessero conto ai fini di una lotta comune per la dignità degli esseri umani, senza distinzioni.
E adesso: chi ci restituirà quegli anni, quelli passati a scuola proteggendoci con l’invisibilità o sotto la persecuzione dei bulli? Chi può restituire ai bulli gli anni passati a proteggersi dalla fragilità identitaria con la violenza sul caprio espiatorio di turno? In entrambe i casi non sono bei ricordi.
Solo noi possiamo farlo assumendoci la responsabilità della nostra storia personale e avvalendoci di essa per migliorare il presente e il futuro.
Se accettiamo di fare su noi stessi il necessario lavoro per cambiare, per acquisire conoscenza del tema e consapevolezza, se penseremo insieme a come agire per produrre cambiamenti allora quegli anni ci verranno restituiti, anche se non materialmente, dal senso nuovo che acquisteranno.
Tutti abbiamo bisogno di dare un senso all’esistenza e di riprenderci gli anni che consideravamo perduti.
Si può fare, io l’ho fatto riprendendomi la mia identità dopo quarantanni passati a non essere me stessa. Basta voler essere felici.
È questo che dobbiamo andare a dire nelle scuole: volete essere felici?
Senza bulli e senza esserlo si può, provare per credere.

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