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Attivista LGBT, Genova anni ’70: intervista a Francesco (parte V)

Quinta puntata dell’intervista a Francesco, tra i primi attivisti del movimento gay a Genova. Dopo le elezioni politiche, si racconta l’evoluzione del F.U.O.R.I. genovese e dello stesso Partito Radicale tra il 1976 e il 1978.

C’era l’aspetto culturale e politico e poi c’era l’aspetto umano e individuale; è stato un “movimento molto movimentato“, se posso fare un gioco di parole. Venivamo tutti da esperienze varie, era come un porto di mare, quello che volevamo fare si evolveva volta per volta, giorno per giorno.

Posso dire che molti di noi venivano da esperienze personali non così serene e tranquille; non dimentichiamo che allora non c’erano i locali come adesso, non c’era una discoteca, non c’era una sauna, non c’era un bar, non c’era Internet. Pensate la grande difficoltà: uno allora che scopriva di essere omosessuale, dove andava? C’era qualche rivista, però Babilonia, la prima rivista omosessuale di massa in cui c’erano gli annunci, è venuta dopo. Funzionava che tu dovevi scrivere, poi dare il fermo posta, la rivista usciva circa una volta al mese, aspettare un mese prima che l’altro ti rispondesse, andare al fermo posta, ma lì dovevi dare il documento e chiedere se qualcuno ti aveva scritto a questo numero di carta di identità o passaporto. Questa era la situazione.

Molti erano abituati a questi incontri che avvenivano al buio, nei giardini pubblici o nei pisciatoi, di sera, di notte. Inoltre c’era il discorso delle stazioni ferroviarie, dei gabinetti delle stazioni. Diciamo che le stazioni di Brignole e Principe erano le più importanti, le altre non ti so dire. Tra i giardini pubblici, invece, c’erano le famose mura delle Cappuccine, che poi sono state chiuse anche per motivi… perché le persone del posto giustamente hanno protestato, secondo me erano disturbate da certi atteggiamenti senz’altro esagerati da parte di alcuni.

Ci sono stati anche degli episodi un po’… non gradevoli. Quindi il problema, a quei tempi, era proprio il non sapere come fare a incontrare un nostro simile: tutto avveniva in una dimensione di nascondimento, tu ti nascondi a te stesso, ma anche gli altri si nascondono. Invece noi siamo venuti fuori proprio per la visibilità. Ricordo la prima volta che siamo stati all’Acquasola, abbiamo fatto una manifestazione insieme con i Radicali, gli altri amici, le altre amiche. Io e questo amico con cui ho fondato il F.U.O.R.I. abbiamo preso il volantino, dovevamo distribuirlo, ma non avevamo il coraggio di farlo. Allora alla fine ci siamo detti: “Va beh, senti, io vado a destra e tu vai a sinistra, facciamo un cerchio, altrimenti stiamo sempre fermi qua vicino al banchetto”, quindi l’abbiamo fatto e quando ci siamo incontrati al giro ci siamo messi a ridere. Ce l’avevamo fatta. A un certo punto, è venuto a un banchetto il marito di una mia collega e abbiamo cominciato a parlare, perché avevamo un buon rapporto, e lui ha detto “Ah sì, sono d’accordo con i Radicali per quanto riguarda certe battaglie per i diritti civili, però non sono d’accordo sulla battaglia che riguarda gli omosessuali”. Allora io, dopo un momento di freddezza, gli ho detto “E se ti dicessi che sono omosessuale?” e lui risponde “No, no, ma io figurati, io non ce l’ho con te…”. Si è ribaltata la situazione, ovvero se tu hai coraggio l’altro… avete capito… se tu sei debole, sei pecora… il lupo ti mangia. È quindi lì, in queste piccole cose, che prendi coraggio.

Tant’è vero che io poi… dopo che ci si abitua ad un grande rivolgimento interiore a livello personale, l’ho detto anche ai miei fratelli, e poi l’ho detto addirittura nell’ambiente di lavoro, in ufficio. Questo per spiegare il passaggio che ho avuto io, com’è stato importante per me avere il F.U.O.R.I. come punto di riferimento, perché mi ha dato una forza che fino ad allora non avevo, mi sono sentito non più isolato né auto-isolato, ma mi sono sentito accolto, mi sono sentito visibile. Da lì sono arrivati anche miglioramenti nelle relazioni umane, con altre persone, perché ho iniziato a scalfire quel muro di invisibilità che avevo. Quel muro che ogni volta mi impediva di essere me stesso con quelle persone, di essere tranquillo.

Da quel momento il silenzio si è sgretolato, ho imparato a stare con gli altri e con le altre indipendentemente dalla mia identità omosessuale, che fino allora invece mi impediva… Ero ipersensibile, appena sentivo una battuta, che di solito la gente comune fa, anche una barzelletta, io andavo in crisi, profondamente in crisi, perché mi sentivo ferito, perché da giovane avevo sofferto molto per questo. Quindi le parole per dire: “Sono frocio, sì; sono buliccio, sì; sono ricchione, sì; ebbene? Tu?”. Ecco un linguaggio, abbiamo imparato a usare il loro linguaggio e questi termini che erano negazioni della nostra identità sono diventati i termini in cui ora affermiamo la nostra identità.

Naturalmente tutto va contestualizzato. Si parla del ’76. Mi ricordo ad esempio quando ho avuto occasione di leggere i primi testi con le prime riviste, ricordo Lambda, Babilonia e altre. Lì bisognerebbe fare una ricerca storica. Mi ricordo, non so se su Lambda o sul F.U.O.R.I. o su Babilonia, uno di questi articoli che si intitolava “Il cazzo, ebbene parliamone”: noi siamo rimasti scioccati, io e questo mio amico, perché non eravamo abituati a parlare così… da che cultura venivamo… il linguaggio che c’è adesso, il gergo che usano adesso, il linguaggio dei miei tempi almeno a livello ufficiale non c’era mai… quindi nemmeno quando ero a scuola non si usavano questi termini… adesso c’è quasi una banalizzazione.

Quello che mi colpì, mentre leggevamo l’articolo, era che io e questo mio amico eravamo già nel movimento, eravamo alle prese con la scoperta della nostra identità e cominciavamo un percorso in cui cercavamo di liberarci di queste nostre sovrastrutture. Che si potesse scrivere e parlare della propria genitalità con tranquillità, che non dovessimo più nasconderla, che cominciassimo a essere noi stessi, fluidi non più rigidi. Io ho sempre partecipato alle attività delle associazioni LGBT genovesi, ma dopo i primi quattro anni fondamentali ho lasciato, perché mi sono detto che per me questo percorso era finito. Ho fatto altre cose, mie personali, ho partecipato ad altri gruppi e il movimento nel frattempo è cambiato.

Devo dire che, dovessi fare un appunto al movimento di allora, quello che per me non è stato raggiunto è dovuto al fatto che la maggioranza dei gay si sono accontentati di aver raggiunto il 51% e non hanno continuato il percorso per arrivare al 100%, come magari avremo fra 100 anni, o anche adesso, che il matrimonio gay è realtà in molti Paesi. A me è sembrato che non ci fosse la volontà, in molti movimenti, di andare oltre.

(continua…)

Genova, 4 maggio 2013
Nella sede di Approdo Arcigay Genova in vico di Mezzagalera 3

Leggi le altre puntate dell’intervista a Francesco
Parte I
Parte II
Parte III
Parte IV
Parte VI 

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