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Attivista LGBT, Genova anni ’70: intervista a Francesco (parte I)

Cartolina piazza Raffaele De Ferrari

Proponiamo l’intervista a Francesco, attivista del movimento gay nato a Genova nel 1976 e ispirato all’esperienza del F.U.O.R.I. di Torino e Milano. L’incontro con Francesco ha avuto luogo il 4 maggio 2013 presso la sede di Approdo Arcigay, in vico Mezzagalera: quella che leggerete è la storia come lui l’ha raccontata, sbobinata e “aggiustata” con un editing minimo.

Il movimento in Italia è nato intorno al 1972. Qui a Genova abbiamo cominciato nel 1976, io e un gruppo di amici, sulla falsariga del F.U.O.R.I. (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), nato tre anni prima a Torino grazie ad Angelo Pezzana, che lì aveva una grande libreria.

Nel ’72 era in programma a Sanremo un convegno di psichiatri, che per la prima volta avrebbero dovuto parlare di omosessualità. In questa occasione, per la prima volta, Angelo Pezzana e un gruppo di omosessuali sono scesi in piazza e hanno protestato contro l’evento dicendo: “Basta! Non vogliamo che siano gli altri, anche se cosiddetti “specialisti”, a parlare di omosessualità e di noi. Vogliamo essere noi in prima persona a parlare della nostra omosessualità”. Questo è stato l’evento fondamentale per la nascita del movimento in Italia, che si ricollegava a quanto avvenuto qualche anno prima negli Stati Uniti, dopo la famosa rivolta di Stonewall, quando era esploso il movimento gay a livello internazionale.

Mi sembra di ricordare, tra l’altro, che quel convegno a Sanremo fu poi soppresso.

Ricordo che ero in piazza De Ferrari, avevo un giornale in mano e lo stavo leggendo. In prima pagina c’era un piccolo titolo: “Gli handicappati vogliono la patente”. Io camminavo, leggevo e pensavo dentro di me: “Non so chi siano questi handicappati, quale tipo di handicap abbiano queste persone che vogliono la patente”. Invece dopo, quando ho letto tutto l’articolo, ho capito che si riferiva alla manifestazione di Sanremo: ciò significa che i giornali, nel 1972, presentavano con questo titoletto la richiesta degli omosessuali di essere riconosciuti nella società. Questo per dirvi come trattavano l’argomento i principali mezzi di informazione in Italia.

Si è iniziato a trattare in un modo “moderno” tutti questi temi, compresi il femminismo e tutto ciò che riguarda i diritti civili, dal 1976 in poi, quando è stata fondata La Repubblica. Ricordo, dev’essere stato forse il febbraio del ’76, che finalmente ho cominciato a leggere su La Repubblica articoli che riguardavano l’omosessualità, il femminismo, l’obiezione di coscienza, i diritti civili. Argomenti trattati con un linguaggio nuovo, come possiamo essere abituati a parlarne adesso.

Quindi, di conseguenza, anche gli altri giornali nel tempo si sono adeguati. Questo per fare un inquadramento.

A quell’epoca non c’erano libri che trattassero l’argomento; nelle librerie non se ne trovavano. Non c’erano nemmeno film che potessero dare un’immagine positiva dell’omosessualità. Anche a livello di terminologia, la parola “gay” è venuta dopo. Si è trattato, allora, di cominciare da zero: così io e questi amici abbiamo deciso di fondare il gruppo a Genova, sull’onda di quello che ci arrivava da Torino e da Milano.

A Torino il F.U.O.R.I. è stato ospitato per i primi anni dal Partito Radicale perché tutti gli altri partiti, tutti, avevano un atteggiamento negativo verso l’omosessualità. Dovete considerare anche il periodo storico: la società era ancora chiusa, legata alle sue tradizioni, non esistevano leggi sui diritti civili e della persona. Il referendum sul divorzio è venuto nel 1974; quello sull’aborto nel 1981. Stiamo parlando più o meno di quell’epoca. Inoltre non era prevista l’obiezione di coscienza: i ragazzi che non volevano fare il militare andavano in galera, perché il militare era obbligatorio.

Vivevamo in uno Stato dai principi molto rigidi e con valori patriarcali; i ruoli erano molto tradizionali, cioè il maschio sapeva quale ruolo gli toccava avere e la femmina sapeva quale ruolo le toccava avere. Anche se le cose erano in evoluzione, i cambiamenti erano tenuti sotto la coltre di un perbenismo un po’ borghese. Arrivavano però in Italia gli echi dei movimenti del ’68 francese, poi il movimento dei figli dei fiori, e molti, tra coloro che hanno potuto, hanno anche partecipato a questi movimenti.

Nel gruppo genovese eravamo una decina di persone. Io ero andato a Milano alla fine del ‘75, perché un amico mi aveva detto “Vai a Milano che c’è un movimento” e così io sono andato. Mi sono trovato una sera in un gruppo di una quarantina di persone e ricordo che c’era anche Mario Mieli. Mi aveva colpito per un intervento molto corposo; lui avrebbe scritto anche dei libri, tra cui Elementi di critica omosessuale (1977), e mi aveva colpito anche perché quella sera lui era travestito. Quindi ora pensate cosa volesse dire, nel 1976, non solo essere omosessuale, ma addirittura essere travestiti o trans. Noi stessi, in quanto gay, non avevamo verso i travestiti un… come dire… non eravamo pronti ad accoglierli, perché in fondo noi stessi non avevamo fatto il nostro percorso. Io adesso posso parlare di un percorso che ho fatto, ma allora si era agli inizi; questo gruppo era aperto a tutti, venivano tutti, venivano le donne, venivano gli uomini, venivano le trans, erano incontri molto informali e ricordo che abbiamo avuto delle serate in cui il dibattito fu molto acceso.

Quella sera mi ero molto emozionato e avevo parlato anche io; ero intervenuto, mi ero presentato dicendo che venivo da Genova e mi ero sentito liberato: per la prima volta parlavo in pubblico della mia identità omosessuale, cosa che non avevo mai fatto. In quel momento è stato liberatorio ritrovarmi con i miei simili, perché prima non era stato possibile, né c’era stata fino a quel momento una presa di coscienza collettiva, per dire “facciamo un movimento, usciamo da queste pastoie”. Siccome ci incontravamo in cinema o spazi all’aperto, molti di noi avevano introiettato riguardo la propria omosessualità dei sensi di colpa; quindi la vivevamo nell’oscurità, perché la società ce lo impediva. Ecco perché si è pensato di creare il movimento, perché avevamo bisogno di uscir fuori, esci fuori da te stesso, usciamo fuori, facciamoci conoscere e molti non avevano mai visto altri omosessuali.

Il ricordo che ho del Partito Radicale è stato proprio questo, un’esperienza molto ricca e varia. La sede di Genova, fra l’altro, era qui in centro storico, in via San Donato al numero 13. In questa sede venivano tutte le persone che volevano portare avanti battaglie in nome dei diritti civili. Ricordo la prima volta che sono andato lì, con altri amici siamo entrati ma eravamo molto timidi, nessuno di noi aveva il coraggio di presentarsi, allora io ho detto a questo rappresentante del Partito Radicale “Guarda noi siamo… ehm… degli omosessuali… (penso di avere detto) e vorremmo fare un movimento” e lui ha risposto “Ah, bene bene, benvenuto compagno, benvenuto, piacere, siete a casa vostra”. È da lì che è nata questa nostra esperienza.

(continua…)

Leggi le altre puntate dell’intervista a Francesco
Parte II
Parte III
Parte IV
Parte V
Parte VI 

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