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Dirsi lesbica, Natacha Chetcuti

Natacha Chetcuti

La nostra recensione a Dirsi lesbica, saggio di Natacha Chetcuti.

Mi dico lesbica perché sono una butch, si vede lontano un chilometro: perché fingermi femmina quando femmina non sono? Mi dico lesbica perché mi piacciono la minigonna e i tacchi, me ne frego se una vera lesbica non dovrebbe indossarli. Cos’è poi una “vera lesbica”? Mah. Mi dico lesbica perché ho una compagna fissa, abbiamo una casa due gatti e tre ante di cabina armadio a testa: ho una relazione normale, perciò non rompete. Mi dico lesbica perché mi piace fare sesso con le donne, sesso più profondo, di quello più mentale che fisico, non quelle robe che piacciono a voi, il sadomaso e il sesso casuale nei bagni e la penetrazione a tutti i costi. Mi dico lesbica perché mi piace fare a una donna tutte quelle cose che qui per decenza non vi dico, ma ve le direi volentieri. E che cavolo, chi me lo fa fare di legarmi a una sola persona per tutta la vita? Mi dico lesbica perché voglio sposarmi anch’io, e avere dei figli, oppure no, ma nella vita non si sa mai. Mi dico lesbica perché mi innamoro delle donne. Dei loro corpi, delle loro emozioni, di come hanno i capelli quando si svegliano la mattina. Mi dico lesbica perché sono femminista e separatista. Mi dico lesbica perché frequento Arcigay e nel mio comitato sono quasi tutti uomini, ma è una figata lo stesso. Mi dico lesbica perché la tipa con cui abito e con cui vado a letto si definisce lesbica, e se lei lo è mi sa che allora lo sono anch’io. Mi dico lesbica perché so a memoria tutte le puntate di L Word. Mi dico lesbica perché no, non mi piace per niente L Word, tutte bianche e ricche e patinate, dove stanno le donne vere? Che poi tutte bianche non erano, Jennifer Beals è per metà afroamericana. Mi dico lesbica perché gli uomini mi fanno schifo e perché finché campo lotterò contro questa società fallocentrica ed eterorormativa. Mi dico lesbica perché a volte ci vado a letto, con gli uomini, ma le donne sono un’altra cosa. Mi dico lesbica perché è quello che sono. Mi dico lesbica perché tante donne vorrebbero dirsi lesbiche ma non possono, o hanno paura, e allora io lo dico anche per loro.

In Dirsi lesbica di Natacha Chetcuti, saggio pubblicato in Francia nel 2010 e tradotto in italiano da Sara Garbagnoli nel 2014, c’è qualcosa di ciò che avete letto qui sopra, e molto di più. Un saggio che affronta le molte sfaccettature della costruzione dell’identità lesbica: lo storico dualismo butch/fem, la rappresentazione di sé, l’attivismo e l’associazionismo, i bar e le case comuni, la clandestinità e il coming out, la monogamia e il poliamore, la vita di coppia e la sessualità.

Un’identità che parte da lontano, da quel nome nato a celebrazione della poetessa Saffo, taciuto nel corso dei secoli e che oggi grida se stesso, dirompente.

“Che cosa definisce il fatto di essere lesbica?” è la domanda che Chetcuti pone alle molte donne che ha intervistato. Donne che hanno attraversato le varie fasi della consapevolezza lesbica, che è la stessa di chiunque ha in sé una differenza: lo stigma e la paura del giudizio, il sentirsi un difetto di fabbricazione dell’umanità; un senso di marginalità in qualche modo legittimo, che sono nata così ma non è mica colpa mia, e ci sta che a me vada un po’ meno bene che alle altre; la trasgressione, che in casa mia faccio quello che mi pare, basta che non do fastidio al mondo fuori; infine la scelta, non la scelta di essere lesbica, che nessuna donna sceglie di essere lesbica così come nessuna donna sceglie di essere etero, ma la scelta di guardarsi dentro, di capirsi, e di assecondare chi si è veramente.

Dirsi lesbica è una narrazione collettiva delle sorelle e delle figlie del femminismo, donne libere, liberate e consapevoli, a volte, ma che portano ancora il fardello di quell’obbligo all’eterosessualità, all’oblazione coniugale e alla maternità che nella storia ci ha volute caratterizzare (ma non ci è riuscito mai del tutto).

Marta Traverso

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