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Charity e Sylvia: il primo matrimonio lesbico della storia

Il blog Brainpickings di Maria Popova è un’interessante fonte di contenuti sui temi più disparati. Soprattutto narrazioni che rimandano a tempi vicini e lontani. Nei giorni scorsi Maria ci ha raccontato di Charity e Sylvia, di un amore durato oltre quarant’anni che ha fatto di loro – in un certo senso – la prima coppia gay sposata degli Stati Uniti.

La loro storia? Scopriamola insieme.

Nel 1897, Hiram Harvey Hurlburt scrisse così nel suo diario: “Miss Bryant e Miss Drake si sono sposate”. Nel corso di quel secolo infatti, in un villaggio vicino (cent’anni prima di Stonewall, cent’anni prima che si cominciasse a chiedere pari dignità di tutte le forme di amore di fronte alla legge), la 30enne Charity Bryant e la 22enne Sylvia Drake si sono promesse eterno amore.

La loro storia è oggi raccontata da Rachel Hope Cleves nel libro Charity & Sylvia: A Same-Sex Marriage in Early America. Due donne che, per ragioni diverse, in gioventù avevano dichiarato che non si sarebbero mai sposate. Charity si dedicava alla scrittura in versi, Sylvia respingeva – con gran stupore della famiglia – tutti gli uomini che la corteggiavano. Quando si sono incontrate per la prima volta, non si sono più separate. “Provvidenza” è la parola che Charity usava per descrivere il momento in cui conobbe Sylvia.

Il 3 luglio 1807 Charity affittò una stanza a Weybrige, alcuni mesi dopo il loro primo incontro, e Sylvia vi si trasferì con lei. In questo giorno, per il resto della loro vita, hanno celebrato l’anniversario della loro unione: quarantaquattro anni di reciproco amore e devozione, terminati con la morte di Charity nel 1851. Sylvia le sopravvisse altri diciassette anni, e fu sepolta accanto a lei a Weybridge Hill, come ogni altra coppia sposata del villaggio.

Charity e Sylvia hanno trascorso una vita tranquilla nel loro villaggio, mai nel segreto. Chiunque le conoscesse sapeva del loro amore e le considerava una coppia a tutti gli effetti, che vivevano un legame “non meno sacro del vincolo del matrimonio”, come scrisse il poeta e nipote di Charity William Cullen Bryant. Lo stesso Bryant che nel 1843 scrisse un articolo sul New York Evening Post in occasione del loro quarantesimo anniversario, e che nel 1850 pubblicò un racconto in versi del loro amore in una sua raccolta di lettere.

Coraggiose? Audaci? Come definire queste due donne? Di fatto, il loro matrimonio non ha riscritto le regole dei generi, ma si rispecchiava perfettamente in un modello di coppia eterosessuale: era Charity il marito”, il capofamiglia. Il suo nome compariva prima di quello di Sylvia in tutti i loro documenti, dal censimento ai moduli delle tasse. Era Charity a portare i soldi a casa, mentre Sylvia si occupava delle faccende domestiche. In alcuni scritti di Sylvia, troviamo suoi tentativi di firmarsi con il cognome di Charity, dunque adottando il “cognome del marito” come avveniva comunemente all’epoca.

Un matrimonio vissuto dunque nella più piena trasparenza, e proprio tale trasparenza sembra aver determinato l’accettazione dei concittadini e concittadine. Un’unione vissuta nel rispetto dei canoni sociali dell’epoca (ovvero: di come all’epoca si riteneva che una coppia sposata dovesse vivere e comportarsi), come può destare scandalo?

Un segreto di Pulcinella, lo chiameremmo oggi. Se ci pensiamo bene, in fondo, il closet da cui le persone omosessuali escono nell’atto del coming out non è mai un armadio chiuso e sigillato. A quant* di noi è capitato di fare coming out con qualcuno e scoprire che quella persona lo aveva compreso da tempo? Solo non ce lo aveva mai fatto notare, vuoi per rispetto della nostra privacy, vuoi per delicatezza nell’aspettare i “nostri tempi”. Allo stesso modo, finché siamo noi a sigillarci a forza in questo armadio, non abbatteremo mai il muro di ignoranza (intesa come non-conoscenza) che le persone intorno a noi spesso hanno riguardo la naturalezza dell’identità e dell’amore omosessuale.

Qualcosa di simile è avvenuto per Charity e Sylvia: la storica Rachel Hope Cleves usa proprio il termine privacy per definire la trasparenza del loro rapporto, dove l’amore tra le due donne era un fatto talmente evidente e naturale da non rendere necessario il rimarcarne l’orientamento sessuale. La loro unione era rispettata per quella che era. Anche perché – ricordiamo – il termine “omosessualità” è stato usato per la prima volta in ambito sociologico e scientifico nela seconda metà dell’Ottocento (vedi Karl Maria Kertbeny), quindi dopo la morte sia di Charity sia di Sylvia.

Qui il post originale di Maria Popova, che abbiamo cercato qui di riassumere. Il titolo originale è “Charity and Sylvia: the remarkable story of how two women married each other in early America”.

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